L’ex poliziotto cita come (testimone) il boss Macrì. Ma lui si avvale della facoltà di non rispondere- Corriere.it

2022-10-08 23:26:30 By : Mr. Liam Mai

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Dopo trent’anni alla Mobile, è accusato di aver fatto la talpa per la criminalità

Giusto il tempo di aprire il collegamento con il carcere di Voghera che dal video della maxi aula gracchia la voce dell’assistente giudiziario: «Il signor Renato Macrì non vuole rispondere». Da «soggetto criminale di elevato spessore come esponente della ‘ndrangheta» (copyright, la corte di Cassazione), era stato citato da un ex sostituto commissario di polizia, accusato di falso e rivelazione di segreto investigativo nell’ambito del filone dibattimentale del processo «Pugno di ferro», nato da un’inchiesta della Squadra mobile di Torino su usura, estorsione e riciclaggio. Insomma, la presunta talpa e il boss, colui che avrebbe ricevuto le soffiate, a partire da un avvertimento, nel novembre del 2015: occhio, sei intercettato.

La linea difensiva dell’ex poliziotto, che per trent’anni aveva diviso gli uffici con chi ora indaga su di lui, voleva ribaltare lo scenario tratteggiato dall’accusa, tra tabulati e appostamenti: e cioè, sì è vero, ci furono dei contatti, ma a fini investigativi, diciamo. Come fosse una sequenza di The Departed dove, alla fine, il perfido capo clan Jack Nicholson ammette di dare qualche dritta all’FBI. Di poco conto, s’intende. Invece, neppure il tempo di declinare le generalità, come codice impone, e Macrì mette in chiaro che non avrebbe detto una parola: «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere» , come imputato in reato connesso, vista la sua condanna nell’appello dello stesso procedimento (in abbreviato). Morale: una manciata di minuti di presenza virtuale, assistito dal suo difensore, l’avvocato Saverio Ventura.

A sfogliare le carte dell’inchiesta — coordinata dal pubblico ministero della Dda Valerio Longi — di informazioni investigative non se ne vedono, escluse un paio di righe, in una relazione di servizio, caldeggiata dall’allora dirigente, e a dir poco vaghe: «Nel contesto della conversazione, apprendevo quasi voler da parte del soggetto (Macrì, ndr) attirare la mia attenzione, che a suo dire in Barriera Milano è operante un gruppo di giovani pregiudicati molto attivi nel traffico di sostante stupefacenti». Senza altri particolari, che fossero nomi, orari, numeri di targa: sai che notizia. Decisamente altre sembrano averne messe in fila gli agenti della quinta sezione della Squadra mobile, compresi pedinamenti e fotogrammi che raccontano di diversi incontri tra l’ex agente e Macrì.

Sintetizzano gli investigatori: «Sebbene non si siano riscontrati elementi utili a individuare la fonte dalla quale l’ex sostituto commissario abbia appreso che Macrì fosse sotto indagine da parte della Squadra mobile, è indubbio che l’abbia saputo tra il 9 e il 14 novembre 2015». Quando l’ex sbirro andò a incontrare il boss. Conclusione: «Gli riferì notizie riservate». Del resto, già qualche anno fa, in un medesimo contesto, fu scoperto un carabiniere che spifferava notizie riservate a esponenti della criminalità, consultando anche i data base delle pubbliche amministrazioni. Poi, tutto in vendita, come annoterà la Cassazione: «Con una sorta di consolidato tariffario».

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