Teatro Regio di Torino, 300 incredibili anni di storia – PiemonteTopNews

2022-07-23 01:49:40 By : Mr. Allen Du

TORINO. Camminando per le strade di piazza Castello, a Torino, alle volte si sente una strana musica. Seguendola, passeggiando con le orecchie ben tese tra gli alti monumenti del nostro centro storico, tra l’Armeria reale ed a pochi metri dalla cappella del Guarini, si arriverà ad una cancellata. È impossibile sbagliarsi, perché la musica arriva da lì dietro e quel cancello non è come tutti gli altri. Non solo perché ha un nome – quanti cancelli che hai visto hanno un nome? -, Odissea Musicale, come l’ha chiamata il Maestro che l’ha immaginato e gli ha dato vita, Umberto Mastroianni, ma perché, una volta aperto, conduce ad un altro luogo. Un luogo, se mai avete passeggiato per quelle strade, che non potete non conoscere: è il Teatro Regio. E dietro quel Cancello, una Storia incredibile. 

Il Regio è uno dei più antichi teatri d’opera al mondo ancora in attività: si pensi che la sua progettazione si può datare addirittura al XVIII secolo. Ma com’è iniziata la storia di uno dei più prestigiosi teatri d’Italia? Le origini risalgono all’inizio del XVIII secolo, quando Vittorio Amedeo II decise di commissionare all’architetto Filippo Juvarra, “l’architetto delle capitali”, come al tempo era anche chiamato e cui aveva già affidato altri dei monumenti che oggi rendono famosa la città di Torino, la progettazione e la costruzione di un nuovo grande teatro nell’ambito del più generale riassetto urbano di piazza Castello.

La scelta di realizzare un così ampio complesso rientrava in un progetto più ampio, di cui è necessario dare almeno uno scorcio per comprendere bene le dinamiche attorno alla nascita di questo meraviglioso progetto architettonico: con la trasformazione del ducato in regno, anche gli intrattenimenti musicali di corte, che costituivano un segno di prestigio, crebbero d’importanza, manifestazione necessaria di quell’ arte “al servizio del potere” che era tanto cara alla politica dei Savoia.

Nonostante le ottime premesse, il progetto subì però una svolta; sarà infatti Carlo Emanuele III, incoronato nel 1730, a gestire il progetto, affidandolo, in seguito alla morte dello Juvarra nel 1736, alle sapienti mani dell’architetto Benedetto Alfieri. L’obiettivo era la creazione di un “teatro di grande prestigio”, che fosse strumento di rappresentanza e celebrazione della stabilità del potere dei Savoia. Il legame con la coorte, poi, sarebbe stato ribadito anche fisicamente dalla possibilità, per la famiglia reale, di recarsi dal Palazzo Reale a Teatro senza dover uscire di strada; sarebbe infatti bastato attraversare la galleria del Beaumont, l’odierna Armeria reale.

Il risultato non ebbe a farsi attendere: realizzato nel tempo record di soli due anni, il Teatro Regio di Torino, inaugurato con l’Arsace di Francesco Feo, era un mosaico di innovazione e stile, una vera perla nel panorama del centro storico della città di Torino.

Con circa 2500 posti mobili, distribuiti in una grande sala di forma ellittica dotata di ben 152 palchi ripartiti in cinque ordini ed abbelliti da numerose decorazioni color cremisi ed oro, il Regio Teatro diventò presto una tappa dei Grand Tour degli aristocratici e studenti stranieri in viaggio nella penisola, che lo citano con ammirazione nelle loro memorie. Ed è effettivamente difficile immaginarcelo; lo stesso sipario è un’opera di non indifferente bellezza, inizialmente realizzato da Sebastiano Galeotti e rappresentante il Trionfo di Bacco, presto sostituito da un analogo di Bernardino Galliari, era uno spettacolo per gli occhi.  Ma non dobbiamo pensare ad un luogo dedito unicamente all’arte, come lo conosciamo noi oggi: all’occorrenza, i sedili, che, come abbiamo scritto più sopra, erano mobili, potevano essere agilmente spostati; il Regio diveniva così un luogo d’incontro dell’alta società italiana, dove si poteva parlare di politica o giocare d’azzardo. Non ci deve sorprendere poi la presenza di un certo numero di botteghe al suo interno: famose sono la «bottega de’ rinfreschi» o quella delle «galanterie», entrambe appaltate dalla Società dei Cavalieri.

In seguito a 5 anni di chiusura tra il 1792 ed il 1797, il Regio cambierà nome più volte, rispecchiando i grandi eventi di quei secoli così turbolenti, passando dal 1798 a Teatro Nazionale ed arrivando al Théâtre Impérial del 1804. Il gioco d’azzardo venne proibito, così come l’ingaggio dei castrati.

Con il ritorno del teatro sotto l’egida dei Savoia, durante la Restaurazione, cambia anche l’aspetto del Regio, che viene ridisegnato in un’impronta più neoclassica, prima, ed in una veste neobarocca poi, grazie alla famosa mano dell’architetto Angelo Moja. È il 1870 quando la proprietà passa al Comune di Torino; è in questo periodo che calcano il palco vere e proprie autorità come Giacomo Puccini e Richard Strauss, che portano al pubblico italiano, per la prima volta, opere come la Bohem, in prima assoluta, (1896) eed il Salome (1906). Dopo la Prima Guerra Mondiale, il Teatro si dedicherà unicamente ad opere di repertorio.

Succede in questi anni l’evento che segnerà per quasi un cinquantennio la storia del Regio, e che ancora oggi non possiamo non ricordare con grande sconcerto; è la notte tra l’8 ed il 9 febbraio 1936 e in programma c’è il Liolà di Mulè, un’opera vivace che, tratta dall’omonima commedia di Pirandello, sta percorrendo l’Italia raccogliendo il forte consenso di critica e pubblico. A Torino non verrà ricordata per questo: la chiamata è arrivata al centralino dei pompieri alle 0.42 e alle 2 del mattino i torinesi si raccolgono in piazza castello, impotenti di fronte all’enorme incendio che sta divorando il teatro. È scoppiato nei sotterranei del palcoscenico, costituiti da travi e impalcature in legno percorsi da miriadi di cavi elettrici: ancora non c’erano accortezze che, casi come questo, ci hanno insegnato a rendere norma.

A due secoli di distanza dalla sua creazione, bruciava il Regio, il teatro di Torino. Inutili gli interventi dei Vigili del fuoco e del Genio militare. Grande ed eroica fu la difficoltà nel salvare la famiglia del custode, intrappolata all’interno dell’edificio, e la difficile opera dei Vigili sarà a più riprese narrata nelle pagine di cronaca di quei giorni: “Così il salvataggio fu compiuto, in modo rapido e coraggioso. I pompieri si sono comportati fedeli alle loro tradizioni, superbamente. Con coraggio inimitabile si son lanciati sui tetti pericolanti, hanno sfidato le fiamme entro cui trascorrevano per portare più oltre i torrenti d’acqua rovesciati dagli idranti, hanno dato, in una parola, una magnifica dimostrazione di perizia, di valore, di sprezzo della vita“.

Nessuna vittima, per fortuna, tranne una capretta che avrebbe dovuto fare da “comparsa” nell’opera, ma i danni erano comunque di portata inimmaginabile: si era perso un pezzo di storia.

“I teatri vengono costruiti per offrire spettacoli al pubblico. Quando bruciano offrono ancora, per l’ultima volta, un episodio dell’Eterna Commedia della vita. Il Teatro Regio non è più, e intorno alle rovine fumanti i cittadini piangono, le autorità ricercano le cause e le responsabilità, i giornali quotidiani fanno festa con abbondante materiale di cronaca. L’interesse dei Pompieri e dei Comuni spinge a visite istruttive di valenti funzionari delle principali Città. Il Comandante dei Pompieri di Torino manda a «Il Pompiere Italiano» una relazione ricca di grafici e di fotografie. I Pompieri italiani e stranieri leggono e commentano in attesa di altre relazioni, di altri incendi in altre Città. In qualche altro Teatro si apportano perfezionamenti alle previdenze contro gli incendi suggerite o ricercate per tema che esso subisca la stessa sorte“, scriverà nella sua relazione Giulio Viterbi, comandante dei Pompieri. La vecchia parete sbrecciata è oggi l’unico pezzo superstite del grande Teatro progettato dall’Alfieri.

Ce ne vorrà di tempo prima di riuscire a capire a chi affidare il progetto di ricostruzione; sarà infatti soltanto nel 1965 che l’amministrazione civica riuscirà, dopo alcuni tentativi, a trovare una soluzione. Il progetto verrà affidato all’architetto Carlo Mollino e all’ingegner Marcello Zavelani Rossi.

I lavori, iniziati nel settembre 1967, si concluderanno nei primi mesi del 1973: inaugurato il 10 aprile di quell’anno, la prima opera a calcare il nuovo palco sarà I Vespri siciliani di Giuseppe Verdi, con la regia della Callas e di Giuseppe di Stefano.

Lorenza Abrate, Paolo Barosso, Roberta Bruno, Massimo Centini, Fabrizio Gerolla, Antonio Lo Campo, Massimo Davì, Germano Longo, Roberto Lugli, Enzo Maolucci, Chiara Parella, Beppe Ronco, Delfino Maria Rosso, Pier Carlo Sommo,  Roxi Scursatone, Mirco Spadaro, Danilo Tacchino,  Patrizia Veglione.

Redazione: redazione@piemontetopnews.it

Pubblicità: adv@piemontetopnews.it

Vice direttore: Ivano Barbiero

Per il mese di dicembre, proponiamo il sonetto della poetessa torinese Raffaella Frassati.

Sota ’n sol gargh as na va nèch ël di L’ùltim color dle feuje… dëstissà Le vigne grise màire dëspojà Ij crisantem ch’as chin-o dësfiorì

Ma ’l gran a seurt, ël but a docia ardì Tënnra dësfida al gel, lë vlu dël pra A s’ansatiss ëd vita dë stërmà Neu misterios ch’a lija passà e avnì

Antant le professìe për pì ’d na sman-a A arpeteran la gòj universal D’anginojesse dnas a na caban-a

Për sòn i veuj cantete, mèis final Sernù da Dé për pijé soa vesta uman-a Ant la neuit che i ciamoma Sant Natal.

Sotto un sole pigro se ne va triste il giorno / l’ultimo colore delle foglie spento / le vigne grigie, magre e spoglie / i crisantemi chini e ormai sfioriti. // Ma il grano spunta, il virgulto spinge ardito, / tenera sfida al gelo, il velluto del prato / si spessisce di vita nascosta, / nodo misterioso che lega passato e avvenire. // Intanto le profezie per più di una settimana / ripeteranno la gioia universale / d’inginocchiarsi davanti a una capanna. // Per questo voglio cantarti, o mese finale / scelto da Dio per assumere la veste umana, / nella notte che chiamiamo del Santo Natale.

 (a cura di Sergio Donna)

In questa rubrica riportiamo alcuni proverbi di tradizione popolare e contadina, in lingua piemontese sul mese di agosto.

Quand a pieuv d’Agost, a pieuv amel e most (Quando piove d’Agosto, piove miele e mosto)

L’ùltim fì as cheuj mai (L’ultimo fico non si raccoglie mai

La matinà a l’é la mare dla giornà (La mattinata è la madre della giornata)

A San Lorens, l’uva dai brombo a pend (A San Lorenzo, l’uva dai tralci pende)

La via dël vissi, a men-a al presipissi (La via del vizio, conduce al precipizio)

a cura di Sergio Donna (da Armanach Piemontèis 2019, Ël Torèt | Monginevro Cultura)

Lorenza Abrate, Paolo Barosso, Ernesto Bodini, Cesare Borrometi, Roberta Bruno, Alberto Calliano, Nina Catizone, Massimo Centini, Sergio Donna, Antonio Lo Campo, Germano Longo, Roberto Lugli, Enzo Maolucci, Maria Antonietta Maviglia, Beppe Ronco, Pier Carlo Sommo, Mirco Spadaro, Danilo Tacchino.

Redazione: redazione@piemontetopnews.it

Pubblicità: adv@piemontetopnews.it