Pergolato: dalla Cassazione 4 caratteristiche per definirlo tale

2022-07-30 13:22:51 By : Mr. mick zou

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La sentenza della Corte di Cassazione interviene nuovamente sulle strutture ombreggianti chiarendo quando è possibile parlare di pergolato in edilizia libera

Strutture leggere, sistemi ombreggianti, precarietà dell'opera e titolo edilizio sono concetti che in linea strettamente teorica ormai corrispondono. Anni di interpretazioni e giudizi di ogni ordine e grado sono riusciti nell'intento di stabilire dei principi giurisprudenziali che colmassero il vuoto della normativa edilizia (il d.P.R. n. 380/2001, c.d. Testo Unico Edilizia).

Per comprendere quando una struttura leggera richiede un titolo edilizio (permesso di costruire o SCIA), una comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) o può considerarsi edilizia libera, è sempre necessario analizzare bene almeno 4 caratteristiche:

Ed è proprio su queste caratteristiche che spesso l'edilizia si "incarta". Quando si parla, ad esempio, di gazebo, tettoie, pergolati, pergotende o verande, il problema più grande sta a monte in come è possibile far rientrare un manufatto in una delle precedenti definizioni.

Sul pergolato registriamo un nuovo intervento della Corte di Cassazione che, con la sentenza 7 marzo 2022, n. 7090, fornisce interessanti spunti in riferimento al sequestro probatorio del manufatto edilizio e la natura precaria dell'opera.

Nel caso di specie a presentare ricorso è il Procuratore della Repubblica per l'annullamento di una ordinanza del Tribunale che aveva annullato il decreto dello stesso PM che, ipotizzando il reato di cui all'art. 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, aveva disposto il sequestro probatorio di un manufatto in legno del quale si ipotizza la realizzazione in assenza di permesso di costruire.

Sull'annullamento del decreto di sequestro probatorio gli ermellini hanno ricordato che lo stesso è un mezzo di ricerca della prova sicché per la sua adozione non è necessario che il "fatto" sia accertato in ogni sua componente, ma è sufficiente che sia ragionevolmente presumibile o probabile anche attraverso elementi logici.

Diversamente dal sequestro preventivo (misura cautelare reale), quello probatorio costituisce atto tipico di indagine messo a disposizione del pubblico ministero per riscontrare la fondatezza della notizia di reato e assumere le proprie determinazioni in ordine all'esercizio dell'azione penale. Sarebbe irragionevole pretendere, come condizione di legittimità del sequestro probatorio, la preesistenza del risultato probatorio che con la sua adozione si intende acquisire.

Secondo un consolidato insegnamento della Cassazione, se è vero che, in sede di riesame del sequestro probatorio, il tribunale deve stabilire l'astratta configurabilità del reato ipotizzato e che tale astrattezza non limita i poteri del giudice nel senso che questi deve esclusivamente "prendere atto" della tesi accusatoria senza svolgere alcun'altra attività, ma determina soltanto l'impossibilità di esercitare una verifica in concreto della sua fondatezza, e che alla giurisdizione compete, perciò, il potere-dovere di espletare il controllo di legalità, sia pure nell'ambito delle indicazioni di fatto offerte dal pubblico ministero, è altrettanto vero che l'accertamento della sussistenza del "fumus commissi delicti" va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica. Pertanto, il tribunale non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro.

Nel caso di specie, il bene immobile è stato sequestrato per accertarne la natura eventualmente abusiva ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 3, comma 1, lett. e), e 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001. Il Tribunale, facendo peraltro malgoverno dei principi affermati dalla Cassazione in tema di "precarietà" delle opere edilizie, ha sostanzialmente anticipato il giudizio di merito sulla liceità del bene sequestrato, non già valutando la astratta riconducibilità del fatto al reato ipotizzato dal pubblico ministero,ma concludendo senza mezzi termini per la non necessità del permesso di costruire.

Per quanto concerne il richiamato concetto di precarietà dell'opera edilizia, la Cassazione conferma che essa non deriva dalla tipologia dei materiali impiegati per la sua realizzazione, tanto meno dalla sua facile amovibilità.

Quel che conta è la oggettiva temporaneità e contingenza delle esigenze che l'opera è destinata a soddisfare. Chiaro è, in tal senso, il dettato normativo che, nel definire gli interventi di "nuova costruzione", per i quali è necessario il permesso di costruire o altro titolo equipollente, individua - tra gli altri e per quanto qui di interesse - i manufatti leggeri, anche prefabbricati, "che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee" (art. 3, comma 1, lett. e.5, d.P.R. 380/2001.).

La natura oggettivamente temporanea e contingente delle esigenze da soddisfare è richiamata anche dall'art. 6, comma 1, lett. e-bis, d.P.R. 380/2001, per individuare le opere che possono essere liberamente eseguite.

La oggettiva destinazione dell'opera a soddisfare bisogni non provvisori, la sua conseguente attitudine ad una utilizzazione non temporanea, né contingente, è criterio da sempre utilizzato dalla giurisprudenza per distinguere l'opera assoggettabile a regime concessorio (oggi permesso di costruire) da quella realizzabile liberamente, a prescindere dall'incorporamento al suolo o dai materiali utilizzati.

Nemmeno il carattere stagionale dell'attività implica di per sé la precarietà dell'opera.

Si tratta di principio talmente consolidato da far ritenere, per esempio, di natura eccezionale e non applicabile oltre i casi in esse tassativamente previsti, le disposizioni introdotte dalle leggi della Regione Sicilia che, privilegiando il dato strutturale su quello funzionale, hanno ricondotto nell'ambito dell'attività edilizia libera la chiusura di terrazze di collegamento oppure di terrazze non superiori a metri quadrati 50 e/o la copertura di spazi interni con strutture precarie, la chiusura di verande o balconi con strutture precarie (così, da ultimo, l'art. 20 I.r. Reg. Sicilia 4/2003 che definisce precarie le strutture realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile rimozione).

Secondo la Cassazione, appare evidente che la temporaneità dell'esigenza che l'opera precaria è destinata a soddisfare è quella (e solo quella) che non è suscettibile di incidere in modo permanente e tendenzialmente definitivo sull'assetto e sull'uso del territorio.

Nel caso di specie, l'opera è costituita da un manufatto composto da quattro pilastri in legno (delle dimensioni di cm. 16x16 l'uno) disposti a maglia rettangolare avente lati mt. 4,4 x 4,4, sui quali era stato installato un graticcio di travi di mt. 5,90 x 6,30; i pilastri erano alti mt. 2,15 da un lato e mt. 2,50 dall'altro; l'opera era bullonata a terra.

Quanto alla possibilità di definire tale manufatto alla stregua di un pergolato, esiste un consolidato insegnamento della giurisprudenza amministrativa secondo il quale un'opera può definirsi un pergolato quando si tratti:

In altri termini, la pergola è configurabile esclusivamente quando vi sia una impalcatura di sostegno per piante rampicanti e viti.

La Cassazione ricorda il D.M. 02/03/2018 contenente il glossario dell'attività edilizia libera nel quale nell'individuare gli interventi edilizi liberamente eseguibili senza permesso di costruire, descrive i pergolati come «strutture di limitate dimensioni e non stabilmente infisse al suolo».

La qualificazione dell'intervento edilizio e il suo regime urbanistico segue il fatto, non lo precede; non è pertanto fruttuoso postulare la qualifica del manufatto come "pergolato" prima di aver compiutamente accertato il fatto in ogni suo aspetto, funzione alla quale era preposto il decreto di sequestro probatorio proprio per questo ingiustamente annullato.

Per questo motivo, la Cassazione ha accolto il ricorso del PM annullando l'ordinanza con rinvio al Tribunale per nuovo giudizio.